Gli Afterhours sono a un punto di ripartenza della loro carriera e hanno deciso di celebrarlo con “Foto di Pura Gioia”. Questa è un’antologia musicale e non un greatest hits. Credo sia opportuno soffermarsi su questa distinzione sostanziale. Per poter ripartire c’è sempre bisogno di un posizionamento, e un posizionamento si attua fermandosi, allineando bene i piedi riflettendo con quale dei due iniziare la ripartenza, quale mettere per primo davanti all’altro. Ed è necessario capire che una ripartenza è definita dalla strada potenziale che si snoda davanti al nostro naso ma anche da tutta quella percorsa fino a quel momento. Quindi girare lo sguardo alle orme lasciate a terra può diventare un racconto malinconico e nostalgico che attraverso la bellezza diventa una retrospettiva poetica capace di trasformare le lacrime in pura gioia. Così si è scelta questa definizione, Antologia.
Perché c’è qualcosa di letterario nel raccontare una storia, un’avventura. Non ci si può limitare a una raccolta di hits, anche perché il rapporto degli Afterhours con le classifiche è sempre stato discontinuo e burrascoso. A parte poche eccezioni, i due non si sono mai guardati di buon occhio. Così c’è la necessità di un discorso a capitoli, un racconto prosastico di cosa sono gli Afterhours e di cosa è successo durante il loro cammino. Perché ora guardiamo Manuel Agnelli con occhi dubbiosi, chiedendoci cosa ci facciano i cartonati con la sua faccia per le strade, muoversi e ballare sotto jingle pacchiani come una qualsiasi soubrette? Con l’eccezione della chicca del quarto disco di demo, inediti e remaster, i tre dischi che compongono l’antologia sono un’appassionante romanzo in musica della storia della band italiana.
Dagli esordi in lingua inglese (“My Bit Boy”) ai primi approcci all’alternative rock autoriale italiano dell’album “Germi” che costituisce la prima mattonella di uno dei pilastri del rock del nostro paese. Il primo schiaffo del soldato alle classifiche pop con il singolo “Non è Per Sempre” che rimane uno dei loro pezzi più conosciuti alla svolta “Quello Che Non C’è”. Il titolo dell’antologia la dice lunga sull’importanza di questo album essendo tratto da uno dei versi dell’omonima canzone. A detta di Agnelli gran parte della personalità del gruppo e di quello che sono stati nei successivi vent’anni lo devono alla scrittura di questo album. C’è ovviamente il capolavoro “Hai Paura Del Buio”, recentemente onorato da un tour trionfale per i suoi vent’anni di militanza nell’enciclopedia dell’alternative italiano con rimasterizzazione e rivisitazione dei suoi brani con apporto di pezzi da novanta del rock nostrano e internazionale.
Si passa attraverso tanti tipi di sonorità, dalla new wave del secondo disco “During Christine’s Sleep”, al rock post punk di matrice americana dell’esordio “All The Children Go To Hell”, perfino il noise dell’Ep “Cocaine Head”. Sempre più autoriali, sempre più riflessivi, sempre più unici attraverso il bellissimo e strano “Padania” o il dolce e furioso “Ballate per piccole iene”, la destrutturazione de “I milanesi ammazzano il sabato sera”. Percorso unico tra lande nebbiose e strade ghermite di gente di tutti i tipi, i racconti di Agnelli e dei suoi verso spaziano tra l’esistenzialismo e la critica quotidiana, fino all’ultimo controverso capitolo “Folfiri o Folfox”, avvelenato dalla contestualizzazione da palinsesto pop del talent show che ha inghiottito il frontman e tante sue pontificazioni divenute d’un tratto contraddittorie e anacronistiche.
Da qui si deve ripartire, da una ricollocazione della band a seguito di questo affacciarsi al balcone della piazza. D’ora in poi si gioca su un campo di gioco diverso, ma questo non vuol dire che deve andare persa l’attitudine a mordere, a graffiare e lasciare segni sanguinolenti sull’ipocrisia, sul già sentito e già provato. Solo bisogna farlo da dentro il sistema e in una scala più grande. Questa antologia ha questo grandissimo compito, di fare da boa su cui tronare se la massa e il sistema discografico farà perdere la bussola ad Agnelli e soci. Ascoltando questi 57 pezzi scritti tra il 1987 e oggi si comprende il vero valore di essere alternativi. Essere un’alternativa a qualcosa ma avere le potenzialità e la qualità di giocare con le stesse armi e sullo stesso campo di battaglia di quel qualcosa. Non è da tutti.