Inutile girarci intorno. The Last Hero degli Alter Bridge soffre della sindrome AB III. Ovvero quella che riguarda gli album che escono dopo colossali dischi capolavoro. Fortress era un picco troppo elevato da superare anche per della gente che nemmeno impegnandosi scriverebbe brutte canzoni. Tra l’altro, esattamente come AB III ha un’ottima opener e un ultimo pezzo indimenticabile. In mezzo ha momenti buoni e filler che lasciano un po’ l’amaro in bocca. Parliamo comunque di un lavoro che continuerà a diffondere il verbo degli AB nel mondo e che ha al proprio interno alcuni pezzi eccellenti. Ma nel complesso avrebbe potuto essere ancora più top. Nel dettaglio, c’erano due strade vincenti per Myles Kennedy e Mark Tremonti per affrontare questo disco:
1. Lasciare totalmente spazio alle velleità commerciali (e i singoli di lancio Show Me A Leader e My Champion facevano presagire proprio questo) e puntare sulle Poison In Your Veins e Cradle To The Grave, cercando di conquistare quanti più casual listeners possibili.
2. Puntare sull’ulteriore evoluzione del progressive e sull’epicità mostrata in Fortress, sparando un disco da sette pezzi lunghi tra i 6 e 7 minuti ciascuno, ovviamente iper cazzuti e sulla falsa riga di Achilles e Fortress appunto.
Come spesso accade è venuto fuori un uno e mezzo. Ci sono brani diretti carini (My Champion) ed altri sensazionali (tu guarda caso, quelli più “prog” ed epici come This Side Of Fate). Ci sono le vie di mezzo appunto: l’opener riesce molto bene a conciliare le due strade. Ma non funziona sempre così. La parte centrale del platter soffre terribilmente da questa volontà di arrivare dritti alle orecchie, incasinando il tutto, spesso senza un senso, a metà traccia.
Show Me A Leader ha uno degli intro migliori di sempre degli Alter Bridge (tipo che può ricordare perversamente Knights Of Cydonia dei Muse). La canzone trova le melodie giuste e il coretto easy, ha i ganci giusti ed è un buonissimo modo per iniziare. The Writing On The Wall ha un incedere iniziale quasi System Of A Down-iano. Poi fortunatamente arriva il chorus. Bello. Anche perché c’è Mark che fa la seconda voce senza ottocento stratificazioni vocali di dio Myles. Strutturalmente gli AB sono molto modern metal qui. Le partiture di batteria seguono spesso il riff con la doppia. Novità non richiesta a dire il vero. Anche i licks e gli pseudo breakdown a metà e fine pezzo sanno forse troppo di Napalm Records.
The Other Side fa tornare tanto ad AB III (Show Me A Sign), il rifferrama è pesantissimo (anche se, Mark non odiarmi, sentito miliardi di volte negli ultimi anni di metal moderno). Le linee vocali ci gasano subito, quando ci si avvicina al ritornello le aspettative sono enormi visto il build-up precedente. La parte centrale si complica un po’ troppo diventando ridondante. Poteva essere un megapezzo. Non lo è per poco. My Champion è invece il <>. Di sta canzone so già ogni parola. Ma non c’entra niente in questo punto dell’album, specie dopo The Other Side. Mi piace, in ogni caso.
Poison In Your Veins ci fa saltare tutti insieme volentieri. Ma è troppo moderna per i loro standard. Soprattutto avrebbe potuto scriverla una qualsiasi band americana sotto contratto con la Eleven Seven. E loro sono troppo bravi per queste cazzate. Filler godibile. E basta con ste stratificazioni vocali che tanto poi dal vivo non puoi farmi tre voci come su Cry Of Achilles da disco e io ci rimango male. Cradle To The Grave prosegue il trittico inaugurato da My Champion e seguente Poison. Diretta e senza difficoltà d’ascolto. Dalla metà in poi emerge il talento di chi è un figo. Quindi il pezzo cresce tanto grazie a un assolo clamoroso e un giro dissonante che fa ripensare al ritornello della colossale Bleed It Dry.
Losing Patience sarebbe stato bene su World On Fire di Slash. Specialmente il ritornello. Il riff e la costruzione delle strofe con cento voci di Myles lascia perplessi nell’evoluzione complessiva del pezzo. Tornano gli ooo-ooo- oooh nel chorus che era meglio evitare. Altro filler. This Side Of Fate devasta in meno di un minuto tutte e 3 le canzoni a lei precedenti. Epicità incontrollabile e un pezzo che va a fare a cazzotti a testa alta con i momenti migliori di Fortress senza aver paura di finire al tappeto dopo un paio di round. Inutile dire che la parte centrale è perfettamente a fuoco, a differenza di quelle ascoltate nei pezzi prima. Se i Muse facessero i metalloni, suonerebbero esattamente come gli AB qui. Myles canta in modo disumano su registri opposti. La band è al top e confeziona una di quelle cose che da sole valgono il prezzo del biglietto.
You Will Be Remembered è il ballatone classico dei Nostri. All Ends Well era di un altro pianeta, ma è abbastanza inutile discutere la qualità del pezzo presente su The Last Hero (nonostante per l’ennesima volta gli ooo-ooo-oooh del cazzo). I ragazzi queste cose le san fare troppo bene. Anche se oramai le abbiamo già sentite (e meglio) altre 3 o 4 volte da loro. Crowns On A Wire sembra un pezzo dei Tremonti tanto ci mangia. Qualcosa qua e là sa di One By One tra l’altro. E’ il più muscoloso del disco e Myles non sembra esattamente a suo agio a cantarla. Sensazione strana, perché si gode. Ma manca qualcosa. Forse proprio la voce di Mark. Il bridge centrale fa volare però. Promossa e fanculo ai dubbi.
Twilight mi ha fatto inarcare il sopracciglio dall’inizio. Ed è un brano parecchio AB III a dire il vero. E sa tanto di fillerone. Come fu sostanzialmente Make It Right insomma. Skip fisso. Island Of Fools me la aspettavo esattamente così. Una carroarmatata con doppia cassa e riff ultra incazzoso. Anche perché dopo una ciofeca come Twilight dovevano per forza convincermi che quello sopra era solo un errore. Chorus notevole e pezzo grandioso.
The Last Hero è il capolavoro. Epicità a livelli inumani. Ha tutte le caratteristiche che mi han fatto strippare dodici anni fa per questa band (sì sì anche nel primo con The End Is Here c’erano già questi segni, non rompete i coglioni). Condensa Cry Of Achilles e Fortress (sentite la parte centrale con l’accelerazione e il solo). C’è anche il breakdown con Tremonti che fa crabcore dance. Non lo vedete ma c’è. Last Of Our Kind è una b-side. E si capisce perché sia stata messa come bonus track qui. Anche il riff supersonico di Still Remains nella parte centrale era meglio evitarlo. Tutto il mondo avrebbe preferito ci fosse Breathe. Ma la compreremo a parte va bene.
J.C.
Quanta strada fatta su quel ponte alternativo. Ascolto ancora con tenerezza e piacere album come ‘My Own Prison’ e ‘Human Clay’ dei Creed, la band alternative post-grunge che in America spostava masse enormi di fan: quelli che si vestivano con la canotta bianca e i pantaloni di pelle sottovuoto, con alla voce l’odiatissimo, scoppiatissimo Scott Stapp (prossimo frontman dell’album in uscita degli Art of Anarchy, in sostituzione del compianto Scott Weiland, sono curiosissimo) dove degli acerbi Mark Tremonti, Brian Marshall e Scott Phillips rodavano già una macchina musicale da soldi che si sarebbe evoluta negli Alter Bridge, arruolando alla voce ‘Lo Strano Caso di Myles Kennedy’.
Ovvero il fenomeno esploso tardissimo che in questi ultimi dieci anni Tremonti e Slash si sono divisi tirandolo uno da una manica e uno dall’altra fin quasi a strapparlo a metà. Album di Slash, album di Alter Bridge, tour di uno, tour dell’altro. Myles non si ferma praticamente mai da una generazione musicale, dopo una vita di insuccessi e oblio. Che strano caso. Ora, svestiti non si sa come i pantaloni di pelle, forse con una fiamma ossidrica, forse semplicemente con borotalco, i nostri si sono attestati su un livello compositivo e prestazionale altissimo, accumulando album che passano dal bellissimo al capolavoro, riempendo le classifiche di ballate indimenticabili e di monumenti metal melodici da urlo. Il quinto album da studio, ‘The Last Hero’, piomba su una discografia fatta di soli successi, dall’incredibile esordio del 2004 al capolavoro ‘Blackbird’, al buonissimo contenitore di hit da classifica ‘AB III’ al cupo e violento ‘Fortress’. Dai nostri non ci si aspetta nulla di meno di un prodotto di altissimo livello, e questo ci hanno regalato ancora una volta. I due singoli di presentazione sono tra i momenti più immediati dell’album, la ‘Show Me a Leader’ e ‘My Champion’, due pezzi che funzionano alla grande.
Ma attenzione, gli Alter Bridge si sono posizionati con questa uscita ancora una volta sullo scalino più alto della produzione alternative metal ma con i talloni rimasti un pelino fuori, con il rischio che l’equilibrio consolidato si sgretoli in un leggero capitombolo all’indietro. Perché se il cammino granitico e roccioso di Fortress è in molte canzoni confermato, alcuni momenti riempitivi ricordano un po’ troppo AB III, e lo spettro conseguente di un momento di stop nella crescita esponenziale di questa band. Intendiamoci, canzoni come ‘Poison In Your Veins’ o ‘Twilight’ sono divertentissime, potenti e appaganti, ma non fanno che ricordarci quello che sappiamo già, di avere a che fare con una band di fenomeni con una credibilità live consolidata.
Il fatto è che a noi, degli Alter Bridge, la grandezza non basta più. Noi vogliamo l’epicità. E c’è solo una via a mio parere verso l’olimpo dei gruppi metal alternativi, il concept album. Un percorso libero da qualsiasi standardizzazione di mercato. Non deve mancare niente degli ingredienti che li hanno resi grandi, i riff e gli assoli di Mark, le vocalità melodiche di Myles ad altezze inimmaginabili, a saltellare sui tetti delle note del rock come gli spazzini di Mary Poppins, la ritmica rocciosa e precisa di Scott e Brian, il tutto libero dalle dinamiche del pezzo da classifica, della ballata da quattro minuti, dalla logica dell’episodio musicale fine a se stesso. Un discorso tematico e musicale che dura tutto l’album, dove gli elementi si alternano secondo una logica puramente artistico-compositiva, per stupire e per innalzarsi ad un livello di grandezza superiore. Ci saranno forse meno soldi in banca, ma arriverebbe la gloria eterna. L’affiatamento c’è, la tecnica singola anche, la creatività pure.
Cosa manca? La volontà di uscire dal circuito che da anni li costringe a inanellare album e tour, alternando Alter Bridge, Tremonti Project, Slash, collaborazioni varie. Non c’è tempo di vivere il gruppo parallelamente alla propria vita quotidiana, perché è così che nascono i progetti trascendenti dall’industria. La musica di oggi non permette di creare opere del genere, perché impone delle regole ben precise. Il minimo indispensabile in studio, perché costa, e poi subito per strada in tour in giro per il mondo, ad incassare il più possibile.
Tornando con i piedi per terra (e i talloni verso il ruzzolone), agitiamo le braccia per tenerci in equilibrio, ma scopriamo che dopotutto in questo ‘The Last Hero’ ci sono dei pezzi che l’epicità la sfiorano. ‘This Side of Fate’ e la strabiliante (ancora una volta) Title track. ‘The Other Side’ è uno dei pezzi più dark e pesanti mai composti, e tritolo arriva anche da ‘Crowns On a Wire’ e ‘Losing Patience’. Leggerezza e ciondolamento di testa nella ballata ‘You Will Be Remembered’. Tremonti e il suo cantato scompaiono quasi totalmente, conservandolo per il suo side Project, sempre più prolifico. Nota di merito alla batteria di Scott Phillips, mai così varia e incisiva.
Un grande album che a parere personale pecca di uno dei difetti ormai fissi nelle uscite metal, una sovra-produzione che crea frastuono, e che spinge quasi a volersi godere i materiale a volume più basso. Un controsenso. Quando hai questi fenomeni sarebbe bene non affogarli in decine di sovra-incisioni. Come chiusura ti lascio il classico tarlo che ti impedirà di prendere sonno, caro fan degli Alter Bridge. Questo ‘The Last Hero’ suona tanto come un’antologia di tutto quello fatto fino a d ora e si sa, è alla fine di un percorso che si tirano le somme. Alla fine di un percorso o, speriamo, prima di abbandonare una strada per prenderne una più grande…
Daniele Corradi