L.A.M.F. – Face Down In The Dirt – What’s It Gonna Take – Down At The Whisky – Saints Of Los Angeles – Muther Fucker Of The Year – The Animal In Me – Welcome To The Machine – Just Another Psycho – Chicks=Trouble – This Ain’t A Love Song – White Trash Circus – Goin’ Out Swingin’
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Il Dr.Feelgood è uscito dal carcere, e si appresta a tornare nella Wild Side della sua città, Los Angeles. Saints Of Los Angeles, il nuovo disco dei Motley Crue, ha nel titolo una connotazione religiosa quanto mai azzeccata: è un miracolo che siano tutti e quattro ancora vivi, è un miracolo che riescano ancora ad andare in tour, è un miracolo che non si siano ammazzati a vicenda registrando il nuovo disco.
Ma l’album è bello? Beh, adesso non esageriamo coi miracoli.
Il disco in sé è parecchio solido, come piace dire agli americani: ha un buon sound, potente e con qualche tocco moderno, si ascolta senza cadere nella noia e piazza pure qualche accelerazione interessante. Pur essendo poi il solito concentrato di cliché sulla band (sesso, droga, sesso, altro sesso, ancora droga, ancora un po’ di sesso, droga e rock’n’roll), questa volta la struttura del concept è quanto mai ragionata: le canzoni seguono in ordine quasi temporale le peripezie della band in quel di L.A., partendo dalla gioventù sregolata (‘Face Down In The Dirt’), i tentativi di mettere su una band e registrare un disco (‘What’s It Gonna Take It’), la vita da sbandati (‘Down At The Whisky’) il music business (‘Welcome To The Machine’), i problemi con le donne (‘Chicks=Trouble’)…
Insomma, più di vent’anni dopo i sopravvissuti ricordano i vecchi tempi o quasi, dato che l’album più che dalla band è stato scritto da Nikki Sixx con vari collaboratori. Come idea funziona: sentire i testi alla luce di quanto scritto nel loro best seller ‘The Dirt’ ha molto più effetto di un qualsiasi ‘toccami la pistola ma non premere il grilletto’ o ‘urla al diavolo!’, però il guaio del disco è che non ha riff o ritornelli davvero memorabili. Per sentire qualcosa che rimane in testa si deve arrivare al primo singolo, la title track. Non c’è traccia di riff mitici come ‘Looks That Kill’, ‘Ten Seconds To Love’ o ‘Girls Girls Girls’, non c’è il ‘carattere’ di pezzi come ‘Prima Scream’, ‘Dr. Feelgood’ o ‘Wild Side’ e neanche la melodia di power ballads come ‘S.O.S.’ o ‘Without You’. Senza stare a scomodare i classici, l’album soffre un po’ anche rispetto agli episodi recenti. New Tattoo (2000) pur essendo parecchio ignorante e prodotto in maniera discutibile era molto più scanzonato e divertente; Generation Swine (1997), fino ad ora ultimo disco in studio con i quattro membri originali, anche se loffio aveva dentro un paio di pezzi super come ‘Afraid’. Complessivamente ha molto più senso degli ultimi due, ma rimane un disco con tanti pezzi decenti, pure qualche autoplagio (tipo la title track), ma nessuno oltremodo memorabile.
Ancora ce la fanno, sono molto meno bolliti di quanto dovrebbero essere, dal vivo lo spettacolo può funzionare ancora (basti vedere il gran dvd Carnival Of Sins) ma questo disco (d’addio?) non lascia il segno come vorremmo.
M.B.