[Metal] The Devin Townsend Band – Synchestra (2006)

Let It Roll – Hypergeek – Triumph – The Baby Song – Vampolka – Vampira – Mental Tan – Gaia – Pixillate – Judgement – A Simple Lullaby – Sunset – Notes From Africa – Sunshine & Happiness

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Prosegue inarrestabile il lavoro del genio stakanovista di Devin Townsend, grazie alla produttività irrefrenabile che sembra possederlo, quasi che la paura di fermarsi fosse quella di avere il tempo di guardarsi dentro e sprofondare in quell’abisso, di nuovo.
Questo “Synchestra” esce a nome Devin Townsend Band e rappresenta un progetto sicuramente ambizioso, finalmente, capace di ridonarci quello spessore e quella voglia di sperimentare che a tratti sembravano essersi persi per strada. Perché se da un lato la creatura Strappino Young Lad è ferocemente scagliata in una direzione ben precisa che contemporaneamente la definisce e la limita, e i mille altri progetti assumono lo status di una tantum, con la DTB dopo l’incredibile “Infinity” sembrava che la voglia di osare scarseggiasse.
E invece il nuovo lavoro ci offre una musica variegata, che su una base che è e rimane metal riesce ad innestare un po’ di tutto, partendo dal prog bucolico di “Let It Rock”, scivolando poi nell’hard nella seconda parte di “Hypergeek”, e proseguendo con una serie di brani dove non mancano gli inserti di ogni tipo: dalla chitarra country di “Triumph” (con la partecipazione del maestro e mentore Steve Vai), alla polka strumentale di “Vampolka”, allo stacco new age di “Mental Tan”, mentre ci sono brani che portano impresso più classicamente il marchio di Devin, come “Vampiria”, “Gaia” o “Judgement”. Il disco si perde un po’ nel finale, con brani lunghi che magari avrebbero potuto essere più stringati, ma che comunque non cambiano il giudizio complessivo sul disco. Anche perché alla fine arriva la bonus track “Sunshine And Happiness”, in pratica lo zio Devin in salsa Abba, assolutamente irresistibile!
Insomma un eclettismo molto ben amalgamato ed eccezionalmente arrangiato da una band che mai come ora sembra completa e affiatata, meno frutto della sola personalità del fondatore rispetto al passato.
L’unico limite sembra essere dato dalla presenza dello stesso Townsend alla consolle. La sua mano di produttore è personale e inconfondibile, ma a lungo andare porta a un appiattimento dei suoni, e il marchio di fabbrica ingabbia la creatività della musica riportandola comunque a uno schema noto, mentre un sound diverso potrebbe dare ai pezzi la libertà di esprimere tutto il loro potenziale.
Un lavoro comunque assolutamente di riguardo, probabilmente il migliore della pur brillante carriera dopo “Infinity”, considerando fuori concorso gli SYL; un disco fuori dal comune sotto tutti i punti di vista, sia per qualità che per intensità.

S.R.

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