Conoscete la tradizione anglosassone secondo la quale una sposa il giorno delle nozze deve possedere “qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, qualcosa di prestato e qualcosa di blu”? “Crosseyed Heart”, il primo disco solista di Keith Richards dal 1992, è probabilmente il disco perfetto per andare all’altare da questo punto di vista. A patto che ve lo facciate prestare, ovviamente.
Something old. L’apertura con la title-track conquista fin dalla primissima nota, calandoci nell’album con il più classico dei tournaround blues: potrebbe essere stato registrato oggi, come settant’anni fa. Dura poco più di un minuto, e funge da introduzione al rock’n’roll sporco che ci accompagnerà da “Heartstopper” in poi. L’atmosfera che regna ascoltando brani come “Trouble”, “Nothing On Me” o “Blues In The Morning” è fuori dal tempo: quello che alcuni liquiderebbero come “rock classico”, una definizione giusta quanto insufficiente, quando usata in senso riduttivo sottintendendo che si tratti di un genere che ha esaurito le sue potenzialità decenni fa, è un rock evergreen, buono nel 1960 come nel 2060, se suonato col cuore. Non manca un classico di Leadbelly, che era già vecchio quando il rock’n’roll era ancora una peccaminosa novità: la splendida “Goodnight Irene”.
Something new. Il terzo disco solista di Keith Richards si è fatto attendere per 23 anni; considerando che gli Stones non registrano nulla da dieci anni, quest’album è per forza qualcosa di nuovo. Uno dei brani più particolari inoltre, “Illusion”, vede la voce calda e avvolgente di Richards coadiuvata da quella della talentuosa Norah Jones. È un brano lento dal sapore vagamente coheniano, e le due voci dialogano di illusioni che tormentano il cuore, e problemi di cui non si vede la soluzione.
Something blue. Prima delle chitarre elettriche, prima del rock, c’era solo il blues, genere che Keith conosce bene sia a livello musicale che in senso lato. Lo possiamo ritrovare in alcune ballad come “Suspicious” o “Robbed Blind”, quest’ultima uno dei brani più melodici del disco, resa perfetta dalla chitarra slide di gusto country che danza sullo sfondo, mentre l’assolo acustico le dona un tocco ispanico.
La maggior parte dei brani del disco sono firmati da Richards insieme a Steve Jordan, batterista veterano di molti palchi diversi (e soprattutto di molti studi di registrazione): suonò con The Blues Brothers, Eric Clapton, Buddy Guy, Neil Young, Bruce Springsteen ed il John Mayer Trio. La voce di Richards, di rado sfruttata nei Rolling Stones, si abbina perfettamente al suo stile: è ruvida come la sua chitarra.