Thunder On The Mountain – Spirit On The Water – Rollin’ And Tumblin’ – When The Deal Goes Down – Someday Baby – Workingman’s Blues #2 – Beyond The Horizon – Nettie Moore – The Levee’s Gonna Break – Ain’t Talkin’
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Non è semplice recensire un album di Bob Dylan, troppo alto è il rischio di dire cose già dette o, peggio, cercare di dare significati che forse l’autore stesso non ha nemmeno preso in considerazione. Senza cercare troppi significati nascosti, si può immediatamente notare la continuità tra questo “Modern Times” ed i due precenti “Time out of time” e “Love and Theft” anche se il nuovo capitolo è caratterizzato da una maggiore carica emotiva rispetto a quest’ultimo, riscontrabile sin dai primi pezzi. Il titolo potrebbe essere un omaggio ai Tempi Moderni di Chaplin anche se forse, nel pensarlo, si è condizionati dalla celebre frase con cui John Ammond aveva definito il menestrello del rock, ovvero come “un vagabondo Chaplin musicale”. Difficile rimane capire di quali tempi in realtà Dylan stia parlando, così teso a cercare sempre qualcosa che gli ricordi il passato o qualcosa che renda migliore il futuro. Anche in questo album, come nel precedente, il cantautore si è occupato di ogni particolare, persino della produzione, per la quale utilizza ancora una volta lo pseudonimo alquanto bizzarro di Jack Frost. Il gruppo che l’accompagna invece è lo stesso che solca ormai da un po’ di anni il suo stesso palco nell’infinito Never Ending Tour e ciò non può che aggiungere compattezza all’intero disco. L’album inizia con “Thunder On The Mountain”, un boogie-rock che omaggia senza paura di farlo notare “Johnny B. Goode”. La sensazione è che il cantautore apra davvero il proprio cuore a favore dell’ascoltatore e utilizzi soprattutto il linguaggio del blues. “Rollin’ And Tumblin’”, già dal titolo è l’ennesimo omaggio presente nell’album e in questo caso l’omaggiato è niente di meno che Muddy Waters, mentre “Workingman’s Blues #2”, in cui Dylan parla di salari bassi e sfruttamento della manodopera, rappresenta una forte critica alla società attuale. Non mancano le ballate, tra cui la splendida “When The Deal Goes Down” o “Spirit On The Water”, in cui Mr. Zimmerman sembra accentuare più del dovuto la sua voce nasale, scimmiottando quasi se stesso. Lo stesso Dylan ha ammesso di aver utilizzato la sua voce in ognuna delle sue sfaccettature. L’album, sicuramente uno dei più belli di questo 2006, si conclude splendidamente con l’affascinante “Ain’t Tolkin’”: introdotta da un malinconico violino, questa canzone ha un po’ lo stesso valore di quella “Highlands” che concludeva quel capolavoro di “Time Out Of Mind”, dando l’impressione che Dylan utilizzi spesso il pezzo più toccante ed emotivo come conclusione dei propri dischi. Torna così subito alla mente quella gemma dal titolo “Every grain of sand”, uno dei pezzi più belli della sua discografia, che, posta in conclusione del tristemente noto “Shot of love”, ne salvava la reputazione. Ma questa è un’altra stroria.
L.G.