Evo 08 Day II: Opeth, Pain Of Salvation

Opeth

12 luglio 2008

E’ un disponibilissimo Fredrik Åkesson, nuovo chitarrista degli Opeth, che ci accoglie con un sorriso poco dopo l’arrivo della band all’Idroscalo di Milano, per una veloce intervista all’interno di un rimbombante prefabbricato adattato a spogliatoio. Buona Lettura.

Ciao Frederik, innanzitutto grazie per la tua disponibilità, so che i Festival sono spesso molto impegnativi dal punto di vista promozionale.
Grazie a te Marco, è sempre un piacere poter far quattro chiacchiere prima dei concerti e ti assicuro che, almeno per me, è una cosa che non mi pesa per nulla.

Innanzitutto vorrei sapere da te come sono andati questi primi mesi di attività in casa Opeth, come stai vivendo questa tua importante esperienza ?
Sicuramente molto bene, i ragazzi mi hanno fatto subito sentire a mio agio e mi hanno aiutato a vivere questa esperienza nel migliore dei modi, facendomi subito sentire parte della band e non “semplicemente” il sostituto di Peter (Lindgren, ndr).

A proposito dei tuoi primi mesi in casa Opeth, hai avuto modo di contribuire alla nella composizione del nuovo album?
Sinceramente non molto: quando sono entrato nella band buona parte del materiale era già stata scritta. Ho comunque portato il mio contributo in termini di sfumature e di sound  oltre, ovviamente, alla co-composizione del singolo “Porcelain Heart”.

Visto che hai nominato questa canzone mi viene una curiosità: come mai è ricaduta proprio su “Porcelain Heart” la scelta del singolo? Non mi sembra in onestà il brano più significativo del disco.
Si è trattato di una scelta suggerita dalla casa discografica e principalmente legata al minutaggio della canzone. Inizialmente eravamo più orientati nel scegliere “Heir Apparent”, ma purtroppo i minutaggi medi delle nostre canzoni non sono in sintonia con i tempi dei singoli, sia in termini di videoclip che in termini radiofonici.

Per quanto tu sia nuovo all’interno del mondo Opeth credo che tu conosca perfettamente i dettagli della loro evoluzione stilistica. Mi pare che in “Watershed” venga intrapresa una nuova direzione musicale: ormai credo che gli Opeth si possano definire una prog metal band con influenze death e non una death metal band con influenze prog come in passato. E’ questo il significato che c’è dietro al titolo dell’album?

In parte sì, nel senso che ormai questa pare la strada musicale intrapresa dalla band. Ti assicuro, comunque, che si tratta di una evoluzione naturale conseguente alla crescita professionale, ma soprattutto personale della band. Da musicista mi preoccuperei se si smettesse di evolvere e sperimentare e se ciò dovesse succedere probabilmente sarebbe meglio smettere con la musica  e dedicarci ad altro: ma sono sicuro che non avverrà.

Secondo me “Watershed” ha dato nuova linfa vitale alla band, ma è meno intenso rispetto ai più famosi lavori degli Opeth: è suonato e prodotto magistralmente, ma mi pare un po’ meno introspettivo. Cosa ne pensi?
Sinceramente, come ti ho accennato prima, si tratta di quanto la band sentiva nel proprio animo, senza eccessivi ragionamenti  e, come sempre, rispecchia quello che siamo in questo momento sia come musicisti che come persone.

Mi pare che in “Watershed” Per Wiberg abbia avuto un ruolo più rilevante rispetto al passato e credo che si senta nel fatto che pare molto a suo agio anche nelle parti più marcatamente in stile Opeth. Concordi?

Assolutamente. Per ha contribuito molto anche durante il lavoro in studio, e questo nuovo feeling credo si senta molto.

Ok Fredrik, per me è tutto. Grazie per il tempo che ci hai concesso. Vuoi lanciare un messaggio ai vostri numerosi fan italiani?
Grazie a te Marco. Per quanto riguarda i fan: vi auguro di divertirvi durante il nostro show e mi raccomando fateci sentire il vostro calore.

Pain Of Salvation

12 luglio 2008

Poco dopo la propria esibizione sul palco dell’Evolution Fest abbiamo avuto l’opportunità, assieme ad altri colleghi, di prendere parte ad un piacevole conferenza stampa con i Pain Of Salvation i quali si sono presentati al completo  e ben disposti (soprattutto Daniel Gildenlöw, ndr) a rispondere alle incalzanti domande. Buona Lettura.

Innanzitutto un ringraziamento a tutti voi per la disponibilità, non capita spesso di “avere a disposizione” una band al completo. Che sensazioni avete avuto della vostra performance?
Daniel: Sicuramente divertente, o meglio, noi ci siamo divertiti molto e spero anche il pubblico, anche se sinceramente il bill è molto orientato sul metal e forse eravamo un po’ fuori posto (sorride mentre in sottofondo risuonano le note dei Death Angel, ndr).

Come mai la scelta di una scaletta per “palati fini” in un festival come questo? Non era forse più semplice improntare una scaletta sui pezzi più diretti della vostra discografia?
Daniel: Alla fine non siamo interessati a far scalette su misura per il contesto in cui andiamo a suonare. Semplicemente si tratta della nostra musica e, per quanto sia difficile, cerchiamo sempre di dare spazio a brani di tutta la nostra discografia, ma soprattutto cerchiamo di creare una certa atmosfera durante gli show cercando di avere un filo conduttore nella successione dei brani scelti.

Beh sicuramente non deve essere facile riuscire ad estrapolare capitoli da storie diverse…

Daniel: Assolutamente. La scelta è sempre difficile però bisogna farla se no o non suoniamo più dal vivo o suoniamo solo per intero determinati album.

A proposito di  album: quali sono i vostri programmi per il futuro? Si tratterà come sempre di un concept?
Daniel: Visto che di solito le band sorprendono il pubblico facendo dei concept album noi, al contrario, potremmo optare per un album tradizionale (risata generale, ndr). A parte gli scherzi non escludo che si possa trattare di un album senza un unico filo conduttore alle spalle anche se, naturalmente, non potrò resistere alla tentazione di inserire qualche riferimento legato alla numerologia (risata generale, ndr). Il tutto dipenderà da quello che ci sentiremo di fare in quel momento.

Al di là del discorso concept direi che i vostri testi sono generalmente molto profondi, intimi e densi di filosofia. Quali sono le vostre principali fonti di ispirazione? Non deve essere facile trovare costanti stimoli.
Daniel: Al contrario di quanto possa sembrare i testi nascono in maniera molto spontanea. Semplicemente si tratta di questioni o problematiche che sento particolarmente mie in un determinato periodo della mia esistenza e come tutte le cose che stanno a cuore risultano facili da fissare e da narrare. Poi, ovviamente, il lavoro di traduzione da idee a parole è lungo ed impegnativo, ma semplicemente per la mia indole e per il  fatto che do molta importanza alla potenza delle parole e magari mi ritrovo per settimane intere indeciso se utilizzare un determinato termine piuttosto che un altro e cercando, ovviamente, una serie di collegamenti che ad un attento orecchio risultano chiari.

Per concludere ho una curiosità: il panorama prog è costellato da migliaia di band alla continua ricerca di una propria identità e soprattutto del riconoscimento da parte del pubblico. In tal senso mi pare che i Pain Of Salvation abbiano raggiunto entrambi gli obiettivi: cosa avete in più degli altri?
Daniel: Sicuramente fortuna (risata generale, ndr). Parlando seriamente siamo riusciti ad  incontrare i gusti dei fan facendo quello che ci sentivamo e rimanendo noi stessi. Ogni nostro disco è diverso ed in un certo qual modo provocatorio, ma è sempre stato capito ed apprezzato da molti e questa è la cosa più importante. Da musicista penso poi di poterti dire che la preparazione è fondamentale, ma per me è scontata in quanto alla base stessa dell’essere artista: il difficile è far capire e trasmettere le proprie emozioni.

Bene ragazzi, il nostro tempo è scaduto. Grazie mille per la vostra disponibilità e vi auguro ogni bene sia professionalmente che personalmente parlando.
Daniel: Grazie a voi per la pazienza nell’aspettarci anche perché visto che avete tutti una maglietta nera, mi spiace di  avervi fatto perdere parte di un concerto per veri metallari (Death Angel, ndr).

Marco Ferrari

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