L’intervista con John & Jehn parte in ritardo per via di una chitarra rotta a Malpensa, ed inizia in maniera surreale: mi siedo sul divano di fianco a loro e Jehn subito mi dice “Sai, sei uguale ad una delle Electrelane”.
Io amo le Electrelane, quindi lo prendo per un complimento, e loro mi raccontano che Verity adesso ha una nuova band, che si chiama Trash Kit, ed è una loro grande amica. Già mi piacete, John e Jehn.
A dirla tutta, le Electrelane sono uno dei primi nomi che mi sono venuti in mente quando vi ho ascoltati.
John: E’ stata una grande influenza, davvero.
Jehn: Grazie! Effettivamente, quando abbiamo iniziato, due anni fa, era tutto molto “Joy Division ed Electrelane”, perché Verity canta in un modo che trovo molto interessante. Non aveva quella voce perfetta, che a volte da’ quasi fastidio e che hanno molte cantanti di genrere, aveva una voce molto sua, una voce forte ma anche molto tecnica, arrivava molto in alto, era stupefacente. E anche le tastiere che usa, sai, Verity usa alcune tastiere vintage veramente belle che abbiamo anche noi, e fa dei soli incredibili
John: Sì, sono una grande band, erano una grande band.
Jehn: E’ una grande improvvisatrice, molto jazzy.
Anche voi avete un’attitudine molto jazzy, si sente che ascoltate molto jazz.
Jehn: E’ vero, io ho iniziato a suonare suonando jazz, da bambina, e anche John.
Quindi cosa suonavate prima di essere John e Jehn?
John: io ero un batterista, suonavo in una band, e poi ho studiato molta musica diversa, e lei era una pianista.
Jehn: io invece suonavo il piano, ho iniziato a nove anni, ma ho smesso perché tutte le volte che dovevo improvvisare mi mettevo a piangere, quindi ho pensato “forse non è per me”.
Avevo un’ottima insegnante, era paziente e veramente intelligente, nel suo lavoro. Se non mi piaceva era solo colpa mia, che volevo fare rock’nroll.
John: anch’io ho studiato batteria jazz, ma partendo dal be bop. Il maestro che mi insegnava improvvisazione mi ha fatto sentire subito molto a mio agio con la musica.
Jehn: Forse però è perché abbiamo due caratteri molto diversi, o forse perché all’epoca non ero pronta.
Io credo che l’improvvisazione spaventi sempre, sei sempre lì a pensare a cosa dovrai suonare, come fare, anch’io suono e anch’io sono stata spaventata per molto tempo dall’improvvisazione.
John: Infatti, l’unico modo per prenderla è pensarla come un gioco, un momento in cui puoi permetterti di non essere più così tanto tecnico.
E’ tutta una questione di silenzio: devi stare tranquillo, prendere il tuo tempo, non pensare di dover riempire per forza. Anche se non suoni stai improvvisando, anche i silenzi valgono. Non devi per forza correre. O almeno, questo è quello che ho imparato, da batterista
Jehn: Hai presente Duke Garwood? Parliamo spesso di lui nelle nostre interviste, è un gran musicista jazz e blues, ecco credo che lui abbia capito esattamente cosa voglia dire silenzio e cosa si intenda con destrutturazione.
Quindi quando avete iniziato a chi stavate pensando, cosa avevate in mente, come riferimenti?
Jehn: Joy Division ed Electrelane!
John: Sì, direi Joy Division ed Electrelane, quando abbiamo iniziato.
Jehn: Quando mi ha fatto sentire i pezzi per la prima volta, John mi ha detto: “Guarda, diventeremo la versione femminile dei Joy Division”, ed è vero, soprattutto per quanto riguarda la seconda parte dell’album.
John: Volevamo essere una versione acustica e femminile dei Joy Division. Intensa, profonda, nei testi.
Jehn: lui prima aveva un altro gruppo, e aveva tenuto tutte queste canzoni che suonavano incredibilmente bene, un po’ una copia della New Wave anni ottanta, quasi degli esercizi di stile. Siamo partiti da lì, credo che sia un procedimento creativo interessante anche quello che parte dalla copia: prima imiti, poi rovi la tua strada.
Poi quando sono arrivata io, abbiamo riarrangiato tutto in maniera più acustica, abbiamo fatto quel mix di Joy Division ed Electrelane che tanto ci piaceva come idea.
Stanchi di essere paragonati a Serge Gainsbourg?
John: Alla fine, ogni intervistatore ci paragona a qualcuno di diverso, capita sempre, però va bene così, finché non ci paragonano con Robbie Williams ci va bene.
Uno dei nomi che viene fuori più spesso sono i New Order, e mi sa che questa cosa viene da una battuta che avevamo fatto una volta, dicendo che il passaggio fra la prima parte e la seconda del nostro album suonava un po’ come i Joy division che diventavano i New Order. Ci sentivamo come se stessimo passando agli anni ottanta.
Ma io in realtà sento molto di più gli anni settanta che gli anni ottanta, nella vostra musica, molto più Post-Punk che New Wave.
John: Forse è perché siamo più acustici, e suoniamo più con strumenti reali: è tutto molto chitarra basso batteria, piuttosto che batteria elettronica o samplers. Direi, se proprio si deve dare una data, primissimi anni ottanta.
Jehn: Anche perché abbiamo ascoltato moltissima musica in cui il pianoforte era molto presente, molto ben suonato, non ti sto dicendo Elton John, anzi, SIR Elton John, ma comunque Joe Jackson,e tanto piano jazz, volevamo che le tastiere fossero presenti e stratificate, ma anche jazzy.
Per quanto riguarda l’idea di strutturare il disco come un doppio Ep, quello di John e quello di Jehn: è come se aveste tracciato confini fra quello che è di uno e quello che è dell’altro e credetemi, i confini sono veramente percepibili, al di là della divisione reale.
Jehn: Sono molto felice che tu lo dica, perché, senza scadere nel parlare della nostra vita privata, ti dirò che però è molto difficile creare confini, se si è una coppia e si fa pure musica insieme, si rischia di essere risucchiati uno dentro nell’altro quando invece abbiamo due mondi musicali molto diversi, che è giusto che vengano fuori.
A volte io scrivo delle canzoni che lui si rifiuta di suonare, perché dice che sembrano scritte da Kate Bush, ma va bene così, il bello di lavorare in un duo è che da solista magari terresti tutto, invece così qualcuno ti dice quello che è meglio tenere nascosto. Così io nascondo la sua parte brutta, e lui nasconde la mia. Sarà una tragedia, quando faremo degli album solisti.
E sul palco, come funziona? Come risuonate il vostro album?
John: Abbiamo scelto la via più semplice, abbiamo aggiunto due musicisti, adesso abbiamo una chitarrista e un batterista con noi, sul palco, così possiamo dare anche al live quell’impatto violento che abbiamo voluto fosse la caratteristica principale del nostro album, anzi, aumentarlo.
Prima, quando eravamo in due, era tutto un riarrangiare i pezzi, adesso possiamo permetterci di suonarli così come li abbiamo registrati.
Francesca Stella Riva