Che l’Italia sia una spiaggia cara ai Dark Tranquillity è cosa nota. Non è un caso che ogni tour registri almeno una o due tappe in lidi nostrani, non è casuale che l’unico live DVD della band sia stato registrato al fu Rolling Stone né che Stanne sia chiaramente legato ai suoi fan italiani. Insomma, l’amore nacque un paio di decadi fa ed è ancora palpabile. Ciò che invece stupisce è l’aver selezionato un flusso di gruppi in grado di lasciar scorrere i nostri alle 22.00, lasciando terra libera a un’attesa (nemmeno troppo) snervante.
Partono i Miracle Flair, band svizzera capitanata dalla graziosa Nicole Hartmann: i ragazzi propongono senza troppa timidezza un symphonic abbastanza diretto e in grado di prendersi qualche applauso dal pubblico che intanto inizia ad accalcarsi. Una manciata di pezzi, meno di mezz’ora di show porta il quartetto a lasciare il posto ai Black Therapy. Il gruppo romano merita una menzione d’onore e un grande in bocca al lupo: dopo essersi fatti strada nella capitale e due full-length, la presenza sul palco convince sicuramente a livello strumentale, un pochino meno a livello canoro ma non vogliamo additare grandi responsabilità al cantante Giuseppe Di Giorgio, bensì a un soundcheck partorito male alle origini, un neo tecnico che ci porteremo dietro lungo tutta la narrazione della serata. I Black Therapy si sono imposti rapidamente nella scena death metal e grazie a tour ben piazzati a livello europeo, la strada che attende questa promettente band sarà ancora lunga e ricca di successi, ne siamo sicuri. Un momento per rifiatare, è il turno degli Equilibrium e della loro carica da palcoscenico. È vero, solo René Berthiaume è rimasto dei fondatori ma questo non impedisce ai tedeschi di proporre una scaletta e una realizzazione che abbraccia tutta la sala, trascinando e facendo ballare sulla scia di “Apokalypse” e “Born to Be Epic”. Il folk teutonico ha sempre un sapore allegro e la band funziona, supportata da un pubblico che è caldo e non ha timidezza di lasciarsi trascinare da un personaggio e showman come Robert Dahn, simbolo e punta di diamante di una formazione che ha sempre adorato prendersi in giro e proporre i propri stereotipi culturali con grande e apprezzata ironia.
I tedeschi suonano poco più di quaranta minuti e la lancetta dell’orologio si avvicina velocemente all’arrivo dei Dark Tranquillity. Sono appena passate le 22:00 quando Anders Jivarp si siede sulla batteria, accompagnato dai suoi fratelli storici accompagnato da Christopher Amott, Martin Brandstrom alle tastiere e l’inossidabile Mikael Stanne al microfono, nonché l’ottimo Anders Iwers al basso. Vi anticipiamo che quello in arrivo sarà uno show lungo e suonato quasi senza pause, giusto un paio di minuti prima dell’encore. Una bella prova di forza di un gruppo che dopo aver toccato il cielo ha subito – in linea con l’abbassarsi dell’onda death metal – un processo di distacco dalle grandi scene per scegliere club più intimi, riservati e calorosi dove portare avanti la propria evoluzione artistica.
È sulle note di “Encircled” che il quintetto parte veloce, portandosi dietro un pubblico ancora intorpidito e non sufficientemente pronto all’apripista dell’ultimo gioiello “Atoma”. Un passo avanti, cinque indietro: “Monochromatic Stains” ci fa tornare nel 2002, con un “Damage Done” d’impatto che inizia a far scaldare la folla, desiderosa di materiale nuovo quanto di pezzi datati. Con “Clearing Skies” si torna su “Atoma”, ma è qui che si confermano i problemi citati poc’anzi: purtroppo per il pubblico, la voce di Stanne è irrimediabilmente superata dalla strumentazione, risultando purtroppo in un impasto poco omogeneo ai alti tanto di fronte al palco. Un vero peccato perché Stanne è come sempre graffiante nell’entusiasmo, nei movimenti e nella grinta. Si torna su “Damage Done” con un pezzo storico, “The Treason Wall”, l’apoteosi della cultura live dei ragazzi di Gotheburg: il Live comincia ad animarsi, partono i primi deliri al centro della pista ma i Dark Tranquillity tornano sul seminato sicuro. The “Science of Noise” è un pezzo che entra spessissimo in scaletta, non senza merito anche se Construct ha pezzi migliori, ma tant’è ci si accontenta.
L’esecuzione è impeccabile, il pubblico non manca mai di urlare il nome della band, che apprezza e si emoziona come ogni volta. Ormai il legame tra pubblico italiano e Dark Tranquillity è un marchio di fabbrica. È il turno di Fiction e la prima prescelta è il pezzo che non ti aspetti: “The Mundane and the Magic” fa tornare con la mente al 2007, quando veniva rilasciato un album con la A maiuscola dal nome di “Fiction”. Niente Nell Sigland sul palco a duettare con Stanne, stavolta ci si affida a del sano playback ma l’effetto è comunque nostalgico di quelli che sono stati veramente tempi d’oro per i Dark Tranquillity a livello di percezione e notorietà, la vera consacrazione di un percorso strepitoso. Ancora “Damage Done”, veramente un album consumato in questa serata, stavolta però si pesta duro. “Final Resistance” è quello che i fan si aspettavano per consumare un po’ di spalla, una canzone robusta, completa, ispirata anche dopo tanti anni di evoluzioni e scoperta. Non c’è tempo di fermarsi: si torna con entrambi i piedi su “Atoma”, proprio con la title track – cantata peraltro con un fantastico siparietto da Stanne e un fan che, fatto rimanere sul palco, è esaltatissimo e anche molto preparato – per poi proseguire sulla splendida “Force of Hand”. Entrambi i pezzi rappresentano perfettamente la nuova anima della band, che si è ritrovata perfettamente grazie a un full length che ha convinto vecchi e nuovi fan.
Questa sera i Dark Tranquillity sembrano voler proseguire avanti e indietro: non uno, non due, ma ben tre pezzi di “Fiction” a far scatenare i presenti. Si parte con la middle track Icipher, si prosegue con il capolavoro “Terminus” per poi chiudere con l’incredibile “Inside the Particle Storm”. Chi scrive c’era, a quello splendido sold-out al Rolling Stone. Era il 31 Ottobre 2008 e diamine, che evento! Sentire di nuovo oggi, dopo dieci anni, questi pezzi è sempre una profonda quanto nostalgica emozione. Finalmente, una spolverata di “Haven” con la statuaria “The Wonders at Your Feet”, ovvero la canzone che rappresenta meglio di qualsiasi altra l’ingresso nella band nel 2000 di un artista incredibile dal nome di Martin Brandstrom. Ancora “Atoma” con “When the World Screams”, un pezzo riuscitissimo nella melodia e nel testo che rimane nella testa. La prima parte pre-encore si chiude con l’onnipresente “ThereIn” di “Projector”, album discusso ma in grado di dare grandi soddisfazioni, specialmente in sede live. I Dark Tranquillity sono ormai di casa e non disdegnano sorrisi, precisi quanto ormai sinergici anche con gli ultimi arrivati.
Siamo ormai verso la fine e Stanne sa bene cosa proporre per mandare tutti a casa con un bel ricordo. Si parte con “State of Trust”, uno dei pezzi di belli di Construct, per poi finalmente regalare il cuore pulsante di Character: “Lost to Apathy” è forse la traccia che meglio incarna i Dark Tranquillity di nuova generazione, quella post-Brandstrom. Direttamente da “Fiction” ci pensa “Misery’s Crown” a chiudere, come sempre, uno show ricco di una selezione musicale assolutamente perfetta. Peccato l’assenza di mostri sacri come “Punish My Heaven” o “My Negation” ma era giusto omaggiare il nuovo album con una presenza importante. Ancora una volta, i Dark Tranquillity soddisfano e fanno divertire, regalando uno spettacolo intimo quanto introspettivo, che ancora una volta fa riflettere sul come la band sia ormai l’unica a essere rimasta fermamente fedele al proprio sound e al proprio – unico – modo di creare arte. In questi casi si può solo sperare di poter partecipare ancora a tanti, tantissimi show guidati da Stanne e soci.