Alle 19:20 l’Alcatraz si presenta ancora deserto: solo poche decine di persone sono presenti all’interno, e qui la domanda sorge spontanea: possibile che dopo sei anni di assenza dalla scena italiana (a causa dei problemi di salute di Schaffer che costrinsero il gruppo ad annullare l’intero tour del 2004) ci sia cosi poca attesa per gli Iced Earth? Se così fosse la causa è da imputarsi al nuovo corso che ha preso il gruppo? Per fortuna man mano che i 2 special guest si esibiscono la sala si riempie un po’ di più , ma in ogni caso il flop è dietro l’angolo.
I Turisas salgono sul palco con una buona mezz’ora di ritardo rispetto al previsto, presentandosi vestiti come Mel Gibson in “Braveheart” e con la faccia pitturata come Darth Maul di “Star Wars”…cominciamo bene! Il genere proposto è il ‘battle metal’, ovvero un power molto armonicizzato con tanto di violino e, udite udite, fisarmonica! La loro esibizione non raccoglie molti consensi,anche se i soliti scalmanati/aficionados ci sono sempre; il pezzo più orecchiabile della loro breve scaletta (“Rasputin”), raccoglie ancora meno applausi, del resto coverizzare un pezzo dance è una scelta molto rischiosa che, almeno qui in Italia, non ha pagato.
Dopo il solito cambio di strumentazione è il turno degli Annihilator, la creatura di Jeff Waters: l’unica figura conosciuta sul palco oltre a lui è il cantante/chitarrista Dave Padden, il membro più “longevo” di tutti nella ormai ventennale carriera della band. La scaletta, fin troppo corta (solo 8 pezzi), e i volumi bassi non contribuiscono a rendere indimenticabile l’esibizione; ciononostante il buon Waters ci regala 40 minuti intensi e di gran stile: a partire dall’opener “King Of The Kill”, che riscalda l’ambiente quanto basta, si prosegue con una setlist che ricorda i bei tempi: “Set The World On Fire”, “Stonewall”, “Never Neverland”, “WTYD” e l’immancabile “Alison Hell” regalano momenti di grande scuola thrash metal anni ’80.
Ancora mezz’ora di preparativi e poi l’intro dal nuovo album introduce gli Iced Earth, con l’ex singer dei Judas Priest, Tim ‘Ripper’ Owens, diventato ormai frontman consolidato della band di Jon Schaffer, chitarrista e fondatore del gruppo. La formazione, oltre ai sopraccitati, vanta l’unico membro storico del periodo d’oro del combo, ovvero il batterista Brett Smedley. Chi si aspettava (o meglio sperava) come opener la classica “Burning Times” (che verrà proposta in seguito) rimarrà deluso: il primo pezzo è la prima track da “Framing Armageddon”, “Something wicked pt.1”, a seguire vengono suonati altri 3 brani sempre dallo stesso cd. Il gruppo appare ben oliato, anche se un po’ troppo statico, Schaffer dispensa come una macchina i suoi riff e il resto del gruppo gli va dietro; Ripper fa il suo dovere di frontman incitando la platea. I nuovi brani vengono (incredibilmente) accolti positivamente, “Ten Thousand Strong” si rivela il pezzo che diventerà sicuramente un classico, ed è quello che maggiormente, tra i nuovi proposti, scatena le reazioni del pubblico.
Il tempo passa e finalmente dopo “Declaration Day” viene sparata “Violate”: finalmente si entra nel vivo! L’Alcatraz esplode: casino allucinante, urla, moshipit…dovrebbe essere tutto cosi il concerto!
E invece l’esibizione prosegue sulla stessa lunghezza d’onda dell’inizio, grande abbondanza di pezzi nuovi intervallati da sporadici pezzi storici; molti si aspettavano la trilogia Wicked annata ’98, dato il tema del nuovo album, e invece viene quasi interamente proposta quella di “Gettysburg”: delusione cocente. Infine arriva il momento del bis, e anche il momento del “riscatto”: “Melancholy”, “My Own Savior” e “Iced Earth” (unico brano insieme a “Stormrider” preso dai primi 3 cd) alzano la media di un concerto tecnicamente e musicalmente ricco, ma povero qualitativamente nella scelta della scaletta. Tim Owens si è dimostrato all’altezza, anche se viene il sospetto che preferisca dimostrare le sue doti canore su brani a lui congeniali e “sicuri”, senza cercare di esporsi troppo al confronto con il rimpianto Barlow sui momenti più datati.
Purtroppo i fan dell’era antecedente a “The Glorious Burden” avranno sicuramente trovato il concerto viziato da molti, troppi estratti tratti dagli ultimi due album, con una sensazione costante di andare “a singhiozzo”: un pezzo che spacca e poi uno che affloscia tutta la carica che si ha in corpo. Un vero peccato, perché l’attesa era davvero tanta e dopo 5 anni di assenza dai palchi italiani ci si aspettava qualcosa di più dagli Iced!
N.B.