Parte da Torino il mini-tour italiano di Jack Broadbent, il talentuoso chitarrista e cantautore britannico partito dalla strada e arrivato a conquistarsi l’epiteto “The Master of Slide Guitar“. Un appellativo non da poco, che già di per sé ha l’appeal necessario ad attirare pubblico, a generare interesse laddove l’ennesimo artista solista, chitarra e voce, potrebbe passare inosservato.
Il 9 novembre 2016, allo sPAZIO211, il giovane musicista ha l’occasione di iniziare a farsi conoscere anche qui da noi e la cosa più bella che emerge è il suo totale disinteresse verso qualunque forma di captatio benevolentiae. Latinorum a parte: Jack se ne sbatte il cazzo. Nessuna parola di troppo sulla bellezza di essere finalmente nel Bel Paese, nessun “grazi“, nessuna frase di circostanza su un sogno che si realizza. Nemmeno un aneddoto che abbia come incipit il classico “sapete, io vengo dalla strada“. Jack non è quel tipo, è un autentico busker. Non ha bisogno di raccontarsi a parole, l’intero contesto che porta sul palco parla per lui ed è così eloquente che già dopo un paio di brani mi si materializza in testa un intero articolo.
Intanto chiedo: quanti chitarristi avete visto suonare la chitarra slide – come un Dio – usando una fiaschetta? Sì sì, una fiaschetta. Apparentemente potrebbe sembrare una di quella manovre studiate a tavolino, perché di fatto parte del clamore suscitato dai video delle sue esibizioni diventati virali sul web è dovuto a questo. Un ragazzo che suona per strada, con la sua vecchia chitarra posata sulle cosce come fosse una Lap Steel, ma invece di usare un classico slide usa una fiaschetta. Ma poi basta sforzarsi di cogliere qualcosa in più dalla sua esibizione per capire che fa tutto parte del suo modo di essere.
Senza convenevoli Jack comincia a suonare il suo blues con la sua fedele Hofner Congress e lo fa con uno stile unico. Alla sua sinistra un bicchiere di whisky, in tasca le sigarette che prontamente tira fuori per offrirne una ad un ragazzo della prima fila. Poi se ne accende una anche lui e usa la Hofner come un posacenere. Alla risate tra la platea risponde che quella chitarra vintage è del ’65 e spacca ancora i culi, poco prima di ricominciare a suonare con la fiaschetta in mano e a cantare con la sigaretta in bocca. Sembra uscito da Sons Of Anarchy. Un’immagine così figa che per un attimo trasforma il piccolo locale nella periferia di Torino nel parterre di un club nel fervore di un sold out da boy band: cellulari che spuntano come funghi per scattare foto e girare video. Poi però, visto il contesto, giustamente arriva il bestemmione del gentleman di turno che gentilmente chiede a tutti di abbassare quei telefoni di merda. E la festa è salva.
Inveisce ripetutamente contro Donald Trump, dedica una canzone al padre, e snocciola i brani del suo secondo album in studio “Portrait” (tra cui spicca la bellissima “Woman”) e dell’esordio “Along the Trail of Tears”, concedendosi anche un paio di cover come “Hit The Road Jack”, nella quale mette in mostra tutte le sue doti vocali tutt’altro che trascurabili.
Costretto dalle pressanti richieste del suo nuovo pubblico Jack torna sul palco, facendo vedere da vicino il suo dito malandato. Il pubblico chiede 1, 2, 3, 10, 100 pezzi in più e lui risponde che non viene pagato abbastanza per questo. Propone anche di tirare fuori il cappello per le offerte e per un attimo si ha la sensazione che stia per farlo davvero. Sarebbe un modo straordinario per completare quel quadro. Invece tira fuori ancora qualche imprecazione contro Trump (“anche se io sono inglese“, dice) e col suo dito mezzo rotto porta a termine l’appassionato encore di un concerto magnifico, diverso dal solito. Un concerto autentico.