Manchester Orchestra, le foto e il report del concerto a Milano del 19 agosto 2015

manchester-orchestra-foto-report-concerto-milano-19-agosto-2015-1

Ci sono dei momenti, nella vita, in cui mi sento molto fortunata di essere al mondo. Non sono molti: quando all’esselunga trovo gli hamburger di soia in sconto, quando trovo al volo lo streaming di un film e quando assisto a un concerto bellissimo. Bellissimo è forse una parola stupida che userebbe una ragazzina di fronte al tipo degli One Direction, ma a volte lasemplicità linguistica, secondo me, paga. Perché “bellissimo” è oggettivamente la prima parola che ti viene in mente quando devi descrivere una cosa che ti è parecchio piaciuta, e io ho l’influenza, quindi non ho le forze di aprire la pagina dei sinonimi e contrari dello Zanichelli online.

Ieri sera, 19 agosto 2015, a sentire i Manchester Orchestra al Circolo Magnolia di Segrate (Milano) eravamo pochi, meno di un centinaio, ma eravamo meno di un centinaio di persone molto fortunate. Ci conoscevamo tutti, eravamo quelli che erano sotto ai palchi cinque anni fa, con le facce più cupe e le spalle con meno responsabilità sopra. Ci ha riuniti una band che avrebbe meritato più rispetto, ma noi abbiamo fatto il massimo. Per nessun motivo al mondo avrei permesso a me stessa di perdermi un concerto del genere, tant’è che infatti non l’ho permesso né all’influenza né all’orario estivo dei mezzi pubblici milanesi. Non lo so perché le persone si continuino a lamentare del fatto che non ci sia mai nulla da fare, che l’estate in città sia simile a un’apocalisse zombie, e poi, quando hanno l’occasione di fare qualcosa di bello, non la fanno.

Andy Hull ricorda ai presenti che è la prima volta che suonano in Italia, e tra le persone vicine a me serpeggia il dubbio che forse è stato quello l’errore: se fossero venuti a suonare qualche anno fa, quando esisteva una scena ed eravamo tutti più giovani e felici di supportarla, avrebbero avuto molto più pubblico presente. Ma non c’è tempo di guardare al passato, c’è solo tempo per ascoltarlo.

Il set dura poco più di un’ora, ma tutti vorremmo di più. Vorremmo che ci suonassero ogni singolo brano contenuto in ogni singolo album, io volevo “Now That You’re Home” ma il mio desiderio non viene esaudito. Un viaggio dal 2006 a oggi – che, se avete la mia età, è un viaggio duro da affrontare, perché nel 2006 eravate minorenni – dove le tappe sono i ritornelli dei pezzi più famosi che i presenti cantano puntando il dito al cielo e interrompendo il religioso silenzio che si crea appena parte una nota: “I Can Barely Breathe” da “I’m Like a Virgin Losing a Child”, “Pride” ed “Everything to Nothing” da “Mean Everything to Nothing”, “Simple Math” dal disco omonimo, “Top Notch” da Cope. Chiude “The Party’s Over”, cover di Willie Nelson, e la festa finisce davvero.

Niente riesce a deconcentrarci, solo la voglia di dire al tuo vicino di posto “cazzo, che brande” (che per i non romani vuol dire: “cazzo, che animali”) o “cazzo, ma sono uguali al disco”, “lui ha la stessa voce da registrata”, “adesso mi metto a piangere”.
Però voi mi dovete promettere che ai concerti ci andate, che smuovete quel culo, perché altrimenti, poi, quando chiunque annuncia il tour europeo senza mai menzionare l’Italia, non ci possiamo lamentare, la musica non è mica elemosina.

In apertura al concerto dei rocker di Atlanta, si sono esibiti i bravissimi The Dear Hunter, la band di Casey Crescenzo che il 4 settembre pubblicherà il quarto capitolo del suo progetto in sei atti, “Act IV: Rebirth in Reprise“.

Fotografie a cura di Rodolfo Sassano

Lascia un commento