Barcellona. Se esagerare e’ bello, il Primavera Sound è magnifico, risultando il festival ideale, il luogo dove bisogna essere se gli appetiti di musica sono robusti e raffinati allo stesso tempo.
L’edizione 2016 appare superba, per la varietà e gli stimoli che i responsabili del programma hanno saputo imprimere negli appassionati, negli specialisti come nei semplici osservatori: una panoramica che tiene conto delle tendenze, ma anche di una certa fama glamour che davvero non guasta. Così nei dodici palchi (12!) che ospitano artisti e gruppi senza soluzione di continuità capita di incrociare proposte eterogenee, bizzarrie, stravaganze ed esclusive assolute.
Nella prima giornata, dipanatasi dalle 16 fino alle 5 del mattino, con un parallelo coacervo di attività in diversi spazi cittadini (incontri, convegni, show case) le maggiori quote di pubblico le hanno raccolte i concerti notturni di LCD Soundsystem e di Explosions in the Sky, formazione elegante e sorprendente nel suo flusso sonoro che senza il contributo di voce, né virtuosismi, sa tracciare un universo visionario di grande consistenza e tensione emotiva. Da Montreal con furore.
Ancora più incisivi, forse il set che meglio ha impressionato, i canadesi Suuns, che praticano a loro volta una musica tutta strumentale, nutrita di accelerazioni, deflagrazioni, massimalismo chitarristico e percussivo, per un fronte massiccio e organico che su disco, purtroppo, non trova il suo alveo ideale. Dal vivo, con una regia che ha regalato effetti di luce particolarmente azzeccati anche sui grandi schermi laterali, il quartetto di Montreal si fa apprezzare nelle sfumature, come nella globalità di un messaggio che è un inno al matrimonio tra cerebralismo e fisicità. E’ vero, si può.
Sempre rimanendo nel campo di una naturale soundtrack della notte, ottima impressione ha destato anche un ‘absolute beginner’ come il quasi settantenne John Carpenter, storico regista che ha insegnato a intere generazioni ad aver paura al cinema. A Barcellona ha praticamente esordito in versione live, accompagnato da un quintetto di giovani gagliardi tra cui si distinguevano il figlio Cody ai sintetizzatori e Daniel Davies (figlio di Dave Davies dei Kinks) alle chitarre. Il maestro del terrore ha evocato le colonne sonore scritte in circa quarant’anni di regia, lasciando che quei temi fossero commentati proprio dalle sequenze dei suoi titoli più famosi, “Halloween”, “La cosa”, “1997: Fuga da New York”, “Fog”, “Grossi guai a Chinatown”, … Se questa sarà una seconda carriera parallela difficile dirlo, ma Carpenter pare prenderci gusto e a fine agosto sarà anche a Torino e poi a Roma. Sicuramente da tenere presente.
Altre buonissime vibrazioni sono giunte dai Tame Impala, dai volitivi, ben articolati Daughter, dagli Algiers, mentre gli Air sono sembrati un po’ sbiaditi, come forse pure Cass McCombs, cui lo smisurato palco e le luci del sole ancora alto non hanno giovato.
E se a vincere qui a Barcellona resta sempre una certa ottica indie, con pregevoli punte per la sperimentazione e l’avanguardia, non si disdegnano proposte più commestibili per il palato collettivo: dal soul bianco di James Hunter Six, al cantautorato ambizioso di Car Seat Headrest, alle soluzioni di hip-hop elettronico di Vince Staples.
Sempre brillantissima l’offerta dai nomi più di culto, Peaches, Lee Ranaldo con il nuovo progetto El Rayo, e Kamasi Washington che ha trovato una chiave tra jazz e confini molto intrigante e ritroveremo anche in Italia durante i festival estivi. Per chi non avesse avuto sapori a sufficienza, da applaudire con convinzione anche Mbongwana Star, collettivo congolese di Afro-beat che alle 2 di notte ancora dimostrava di saper stregare con i ritmi irresistibili.
E oggi tocca (anche) ai Radiohead…
Grazie a Enzo Gentile